Titolo originale: Den of Thieves Paese: USA Anno: 2018 Durata: 140 minuti Genere: Azione, Crimine
Soggetto: Christian Gudegast, Paul Scheuring Sceneggiatura: Christian Gudegast Fotografia: Terry Stacey Montaggio: Joel Cox, David S. Cox, Nathan Godley Musiche: Cliff Martinez Scenografia: Kara Lindstrom Costumi: Terry Anderson Trucco: Gaby Macias e altri Effetti speciali: Yves De Bono e altri Produttore: Mark Canton, Tucker Tooley, Gerard Butler, Alan Siegel, Tony Grazia Produzione: Atmosphere Entertainment MM, Diamond Film Productions, G-BASE, Tucker Tooley Entertainment Distribuzione: Lucky Red Sito ufficiale: www.denofthieves.movie Data di uscita: 05 Aprile 2018 (Cinema)
Mentre la migliore banda di rapinatori dello Stato, tra cui spiccano l’impassibile Ray Merriman e il temibile Enson Levoux, sta preparando il colpo del secolo alla Federal Reserve Bank di Los Angeles, il loro destino si intreccia a quello degli agenti della squadra speciale anticrimine di “Big Nick” O’Brien. Quello che apparentemente potrebbe sembrare un convenzionale faccia a faccia tra buoni e cattivi si rivelerà uno scontro a fuoco senza esclusione di colpi in cui i due gruppi rivali si affronteranno senza scrupoli e ad armi pari.
In tempi come questi, nel bel mezzo di quel ciclone che assume il nome di #MeToo, Dissenso comune o chissà quale altro, un film come Nella tana dei lupi lascia quasi a bocca aperta. Perché altro che pari opportunità, altro che ruolo della donna, quello dell'esordiente Christian Gudegast è un film che farebbe esplodere qualsiasi macchinario in grado di effettuare in autonomia il Bechdel Test, tanto è stracarico di testosterone, e tanto le poche donne rappresentate sono solo mogli un po' isteriche che chiedono il divorzio, stripper promiscue o impiegate ingenue. Nella tana dei lupi è un film di uomini e per uomini (o magari anche per donne dalla mentalità aperta, eh), fatto di muscoli e tatuaggi e birra e whisky e parolacce e macchine potenti e armi tattiche e pallottole. Per alcune forse un incubo, per altri (e altre) un’oasi d’intrattenimento, che funziona pure bene. Questioni di genere a parte, in Nella tana dei lupi è un thriller d’azione ma nemmeno poi troppa, un film di rapina che vede contrapposti due uomini: la mente (e il braccio) criminale di un ex militare che si è felicemente riciclato come rapinatore di banche da un lato, e un ruvido e stropicciatissimo poliziotto dall’altro. Da un lato il rapinatore con la sua banda, dall’altro il detective con la sua squadra speciale anticrimine. Sullo sfondo, la multiforme e liquida Los Angeles. E se tutto questo vi ricorda qualcosa, beh, avete ragione. Perché il canovaccio è lo stesso di quel film straordinario che è Heat di Michael Mann, e Gudegast non lo nasconde mica di aver guardato a quel modello lì. Un modello che è inarrivabile, per carità, ma non per questo bisogna iniziare a gridare al reato di lesa maestà, visto che tutto sommato Gudegast non solo ha firmato un film più che dignitoso, ma non è stato nemmeno presuntuoso e ha sempre capito molto bene dove doveva fermarsi. Oltre che a Heat, presente come detto in dosi massicce, il regista e sceneggiatore non ha disdegnato nemmeno di prendere qualche spunto dalla saga di Arma letale, ma lasciando agli originali l’ironia e l’umorismo, di cui Nella tana dei lupi è (quasi) completamente privo; e soprattutto, nella risoluzione delle vicende, a un celebre film degli anni Novanta che non citiamo esplicitamente per non rovinare a nessuno la sorpresa del finale. Senza disdegnare, in tutto questo, di lanciare uno sguardo nella direzione di Vivere e morire a Los Angels. E, prendendo un po’ qui e un po’ lì, Gudegast ha diretto un film che funziona, e funziona bene, perché è scritto e orchestrato visivamente con la stessa precisione richiesta dai piani delle rapine che vengono raccontate; perché è ruvido e magari anche rozzo al punto giusto, e quando serve, ma girato e fotografato bene; e perché lavora molto bene con il suo cast. Era tempo, infatti, che Gerard Butler non era così centrato su un personaggio: non solo in parte, con quella fisicità massiccia e testosteronica che si ritrova, ma anche nella parte, credibile sia negli atteggiamenti più spacconi che quando lascia emergere la sua fragilità, che poi è solo relativa al rapporto con le sue due figlie. E - sia detto per inciso, ma nemmeno troppo - proprio un’altra figlia, quella del personaggio interpretato da 50 Cent, è al centro dell’unico momento in cui il film si concede una risata: la scena in cui l’uomo intimorisce il ragazzo che deve portare la sua bambina al ballo di fine anno con l’aiuto dei suoi nerboruti e tatuatissimi amici, all’interno della palestra che ha in casa. Se i colleghi di Butler sono figurine un po’ bidimensionali, sebbene tutti col look, il volto e il fisico giusto, dall’altra parte le cose sono più equilibrate: Pablo Schreiber è un leader inflessibile ma dallo sguardo umano, 50 Cent e Evan Jones fanno il loro. E poi c’è O’Shea Jackson Jr., che è il figlio di Ice Cube ed è la fotocopia del padre, molto bravo in un ruolo difficile: quello dell’anello debole della banda dei cattivi, che è mezzo compromesso con la polizia, e che alla fine non capisci bene che gioco stia giocando lui, che è l’unico che non è palestrato, che è quello meno duro, e che però se la cava sempre. Tra i personaggi, tra questi personaggi ci sono tattica, tensione, parole dure, la gara continua e maschile a chi ce l’ha più lungo, metaforicamente parlando. Tra loro, colpi di arma da fuoco pesante, mascelle contratte, una paura che nemmeno viene presa in considerazione quando arriva a fare capolino nelle menti e negli occhi. Non è Heat, Nella tana dei lupi, e va bene così. Perché basta che sia quello che è: un film solido, ruvido, maschio. E, diciamolo chiaramente, anche piuttosto divertente e appassionante, tanto da non far pesare quasi per niente i suoi 140 minuti di durata.