L’Italia degli anni venti, quella della povertà, della fame vera, dei contadini e dei fuorilegge. Il paese delle biciclette, metafora di un mondo nuovo che si affranca dalla miseria. Quando il Giro d’Italia teneva col fiato sospeso. Due ragazzini di provincia come tanti: Costante Girardengo e Sante Pollastro vivono puntando sui pedali. Girardengo in sella alla sua bici pedala e vince, all’inizio per un piatto di minestra, poi per uno stipendio «da prefetto», e si conquista in pochi anni il titolo di campionissimo. Su due ruote Sante ruba e spara, toglie ai ricchi, dà ai poveri, centra i lampioni per farsi il buio alle spalle. Nel malfamato Borgo delle Lavandaie lo considerano una specie di benefattore, malgrado gli arresti, gli ergastoli, la latitanza. Un filo invisibile e misterioso li legherà per sempre, e li terrà in contatto anche da molto lontano. Il campione e il bandito. Chissà se è stato Girardengo a tradire Pollastro. Se si sono incontrati davvero al Velodromo d’Inverno di Parigi, quando Costante era già il ciclista spregiudicato e Sante il più famoso ribelle anarchico negli anni del fascismo.
Nel libro di Marco Ventura la vita diventa leggenda e la biografia si trasforma in romanzo. Ma quella del bandito e del campione è soprattutto una bella storia, di anni duri e di riscatti, di tristezze e splendori.
Attraverso un minuzioso lavoro di ricerca, fondato su documenti e testimonianze, Il campione e il bandito ci racconta una favola: quella di un’amicizia densa di ombre, immortalata dalla canzone di Francesco De Gregori, e quella di un’Italia che non c’è più ma che ha ancora tanto da dire.